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Aree dismesse

Aree dismesse

Aree dismesse

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Il termine Aree dismesse definisce quegli spazi o quei contenitori che nel tempo, non sono più usati per le attività per le quali sono stati pensati e realizzati.

Molto spesso le aree dismesse, creano dei vuoti urbani che vengono percepiti dalla popolazione come zone degradate e pericolose, o a causa della poca stabilità delle strutture fatiscenti ancora presenti, mettono talvolta a rischio anche l’incolumità degli abitanti. Oppure, per colpa di persone incivili, diventano delle vere e proprie discariche a cielo aperto, facendo così insorgere nella comunità un senso di abbandono da parte delle istituzioni, in quanto non soddisfano le esigenze primarie dei cittadini (sicurezza, igiene, estetica..). Queste aree dovrebbero essere oggetto di una riqualificazione che le attribuisca una nuova destinazione d’uso, in funzione delle loro caratteristiche intrinseche e delle relazioni con il contesto nel quale si collocano. Questo ricucire il tessuto urbano a garantire il miglioramento qualitativo della vita delle comunità è una risorsa da sfruttare di trasformazione del tessuto urbano. Le alternative sono tante tra cui la realizzazione di infrastrutture e servizi, oppure zone destinate a verde pubblico o anche un uso polivalente. In base alla destinazione scelta cambia anche il tipo di intervento da operare, e se sono presenti elementi significativi di archeologia industriale se ne può prevedere il riuso, salvaguardandone la memoria storica, essendo un tassello importante della storia delle città. Così facendo si passa dal considerare il fenomeno della dismissione un problema drammatico per la città, a una risorsa da sfruttare per trasformarla e riqualificarla.

In Attesa di una Legge sul Consumo del suolo:

Contro la cementificazione è arrivata recentemente dalla Camera il primo via libera al disegno di legge per il contenimento del consumo del suolo e per il suo riuso, che passa ora al Senato. Finalmente un provvedimento che mira a un unico obiettivo: ridurre la già grande mole di cementificazione del territorio italiano di definire il principio di base secondo cui sul consumo del suolo è consentito solo quando non ci siano alternative al riuso per salvaguardare il paesaggio e le attività agricole, fino ad azzerare entro il 2050 il consumo del suolo.

 Se dovesse passare la legge, verrebbe imposta una moratoria di tre anni per tutte le trasformazioni che comportino nuovo consumo di suolo, salvo quelle già inserite nei piani urbanistici. In questi tre anni, il Ministero delle Politiche agricole, insieme a quelli dell’Ambiente, dei Beni culturali e delle Infrastrutture, dovrà emanare un decreto che indichi come ridurre progressivamente il consumo del suolo, fino a eliminarlo del tutto nel 2050, come previsto in Unione europea.

Saranno poi le Regioni a fissare i criteri attuativi per i Comuni, che dovranno anche censire edifici ed aree dismesse, per verificare se le nuove costruzioni possono essere realizzate riqualificando aree degradate. Per il recupero di queste aree, i Comuni avranno la priorità nei finanziamenti statali e regionali e vedranno semplificate le procedure e i migliori verranno elencati in un registro dei Comuni virtuosi.


Recupero delle Aree Dismesse o parzialmente utilizzate

Una grande quantità di aree industriali sono sottoutilizzate (lotti non assegnati, capannoni abbandonati, incompleti, non produttivi da anni o mai entrati in produzione) nonostante siano servite da strade, impianti di fognatura, illuminazione e terreni già predisposti.

Le soluzioni possibili sono principalmente di due tipi:

• Recupero dei manufatti per altre destinazioni d’uso, (ad esempio una piccola area artigianale dismessa in prossimità di un centro abitato, o un caso come quello di aree industriali più estese dov’è necessario dare una diversa prospettiva al comparto industriale dichiarato non più produttivo). Tra le aree afferenti a questa tipologia si cita ad esempio il caso dell’area industriale infrastrutturata con fondi pubblici intorno al porto di Gioia Tauro (Reggio Calabria) dove circa 2/3 delle superfici sono ancora inutilizzate o sottoutilizzate (fonte: elaborazioni WWF Italia).

• Rinaturalizzazione, soprattutto in relazione ad aree solo parzialmente occupate, o ad aree connesse ai siti industriali. Si cita, ad esempio, il caso di Saline Ioniche ove, sebbene gli impianti industriali siano stati costruiti, non sono mai entrati in produzione (dati: superficie totale: circa 700.000 mq, superficie totale occupata/pavimentata circa 231.200 mq; metri cubi edificati: 216.660 mc). E’ possibile operare un grande progetto di riqualificazione ambientale e di conservazione dei Pantani, aumentando la naturalità dell’area e restituendone la funzionalità a fini agricoli, ricreativi, balneari.


Recupero di aree intercluse o marginali all’urbanizzazione

Nelle aree periferiche l’onda trasformativa (connessa all’urbanizzazione) ha spesso ha prodotto un degrado molto più rilevante di quanto abbia direttamente interessato l’edificato esistente. Recuperare queste aree ad attività sociali, culturali, ricreative, migliora la qualità della vita degli abitanti (orti urbani, ricostruzione di ecosistemi, attività di associazioni, agricoltura di prossimità, etc. ).

Un esempio per questa tipologia di aree è il Progetto di recupero naturalistico e produttivo presente dal 2009 al XII Municipio di Roma , partecipato dalla popolazione del quartiere dove ipotizza nell’area un’estesa rinaturalizzazione, il ripristino di attività agricole, il recupero dei manufatti per finalità sociali (un ristorante con prodotti biologici, la sede di cooperative sociali, bar), orti urbani e la possibilità di percorsi a piedi, in bici e a cavallo.


Recupero di aree degradate

Il degrado diffuso nelle periferie urbane causato dalle aree industriali, la concentrazione di strade e di manufatti, l’abusivismo e gli sversamenti non corretti hanno spesso creato un degrado diffuso.

La bonifica e la riqualificazione di queste aree è auspicabile in quanto restituisce alla comunità locale un bene comune privato al territorio per altre funzioni. Anche se la riqualificazione di tali aree è complessa e costosa per i costi elevati comportati dalle bonifiche, le potenzialità insite a queste operazioni sono altamente produttive sul lungo periodo, soprattutto negli ambiti dove sono ubicate tali aree come dimostrano le operazioni di tal tipo nelle grandi capitali europee.

Un esempio al quale si può fare riferimento per quanto riguarda le aree degradate è quello del Litorale di Lago Patria (NA). E’ evidente che in questo caso, si ritiene che la riqualificazione naturalistica possa portare una nuova economia balneare locale.


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